L’industria globale dei semi raggiunge solo il 10% dei piccoli agricoltori. Zero investimenti in biodiversità e sicurezza alimentare essenziali per gli Obiettivi Onu di sviluppo sostenibile.
Ci sono un tahilandese, uno svizzero, un americano, un tedesco e un arabo di Dubai, e da loro dipende buona parte del futuro dell’agricoltura. Niente di più lontano da una barzelletta: quelle citate sono le nazionalità dove hanno sede le società che occupano i primi cinque posti dell’Access to Seeds Index, indice che analizza non tanto le performance economico-industriali quanto gli sforzi delle compagnie nel raggiungere i piccoli agricoltori e svilupparne la produzione.
Una top five di merito, quindi, nella quale si leggono anche i nomi di alcuni tra i maggiori gruppi sementieri del mondo, anche se il gruppo è guidato da East-West Seed (la realtà più piccola in termini di ricavi). A seguire, due giganti come Syngenta e Bayer (quest’ultima valutata prima dell’acquisizione di Monsanto, ad agosto 2018, per 66 miliardi di dollari), e infine Corteva Agriscience e Advanta. La classifica tuttavia arriva ad includere 13 società, tra multinazionali del seme e aziende specializzate (Rijk Zwaan, Bejo, Enza Zaden), relativamente alle loro attività nel periodo 2015-2017.